Bruno Caccia|Magistrato

When:
June 25, 2018 – June 26, 2018 all-day
2018-06-25T22:00:00+02:00
2018-06-26T22:00:00+02:00
Cost:
Free

Bruno Caccia
Iniziò la sua carriera in magistratura nel 1941 nel Palazzo di giustizia torinese. Nel capoluogo piemontese rimase sino al 1964 ricoprendo la carica di Sostituto Procuratore, per poi passare ad Aosta come Procuratore della Repubblica. Nel 1967 Caccia ritornò nelle aule torinesi con l’incarico di sostituto Procuratore della Repubblica. Nominato nel 1980 Procuratore della Repubblica di Torino, si occupò di indagare sulle violenze e i pestaggi che all’epoca puntualmente si verificavano in occasione di ogni sciopero.
Il 26 giugno 1983, Bruno Caccia si recò fuori città e tornò a Torino soltanto nella sera. Essendo una domenica, decise di lasciare a riposo la propria scorta, decisione che facilitò il compito ai sicari ‘ndranghetisti. Verso le 23.30, mentre portava da solo a passeggio il proprio cane, Bruno Caccia venne affiancato da una macchina con due uomini a bordo. Questi, senza scendere dall’auto, spararono 14 colpi e, per essere certi della morte del magistrato, lo finirono con 3 colpi di grazia. Sui mandanti dell’omicidio, subito le indagini presero la via delle Brigate Rosse: erano gli anni di piombo e per di più le indagini di Bruno Caccia riguardavano in presa diretta molti brigatisti. Il giorno seguente, le Brigate Rosse rivendicarono l’omicidio ma presto si scoprì che la rivendicazione risultava essere falsa. Inoltre, nessuno dei brigatisti in carcere rivelò che fosse mai stato pianificato l’omicidio del magistrato cuneese.
Le indagini puntarono allora l’attenzione sui neofascisti del NAR, ma anche questa pista si rivelò ben presto infondata. L’imbeccata giusta arrivò da un mafioso in galera, Francesco Miano, boss della cosca catanese che si era insediata a Torino. Grazie all’intermediazione dei servizi segreti, Miano decise di collaborare per risolvere il caso e raccolse le confidenze dello ‘ndranghetista Domenico Belfiore, uno dei capi dell’ndrangheta a Torino e anch’egli in galera. Belfiore ammise che era stata la ‘ndrangheta a uccidere Bruno Caccia. In aggiunta, va detto che la’ndrangheta ha da sempre controllato, in Piemonte, molti ristoranti, imprese edili, bar e addirittura era arrivata a mettere le mani sul bar del Palazzo di Giustizia dove Bruno Caccia lavorava. Le indagini del magistrato cuneese si rivelarono troppo incisive e troppo dannose per la sopravvivenza della ’ndrangheta in Piemonte, tanto da spingere i Belfiore a ordinare l’uccisione del magistrato. Come mandate dell’omicidio, nel 1993, Domenico Belfiore venne condannato all’ergastolo.