Locri, una reazione che fa sorgere il bene

Riportiamo l’articolo de “Il Sole 24 Ore” di Don Nunzio Galantino pubblicato sabato 25 marzo 2017.

L’ho frequentata anche io una delle quattromila piazze impegnate a far memoria delle vittime innocenti della malavita organizzata. Sono stato a Locri, in Calabria. Lì, assieme ai familiari delle circa mille vittime conosciute e riconosciute, ha voluto essere presente il Presidente Mattarella, anch’egli familiare di una vittima della mafia.

Più di un motivo mi ha portato a tornare in Calabria. Prima di tutto: mi è stato affidato da papa Francesco un messaggio da portare ai familiari delle vittime. Francesco ha voluto così confermare la sua vicinanza a persone che aveva già incontrato a Roma il 20 Marzo 2014. Nel messaggio che ho letto tra la commozione di tutti, il Papa ha colto l’occasione per spingere la comunità cristiana e civile a impegnarsi sempre più nella costruzione di una società giusta, libera dai condizionamenti malavitosi e pacifica, dove siano tutelati dagli organi competenti le persone oneste e il bene comune.

Nello sguardo attento dei destinatari del messaggio ho letto tutta la sofferenza provocata dalla violenza cieca della malavita; e questo mi ha spinto a dialogare con tanti di loro. Con tutta la discrezione ed il rispetto dovuti, ho sentito il bisogno di dire quanto mi suggerivano gli occhi e gli sguardi di mamme, papà, fratelli, sorelle e figli delle vittime della mafia. “Il vostro lutto, il vostro dolore e la vostra sofferenza – ho detto – non possono e non devono restare chiusi nella vostra casa e nella cerchia dei vostri parenti e conoscenti. Il vostro lutto, il vostro dolore, la vostra sofferenza, portati con grande dignità in pubblico, devono provocare rimprovero, vergogna e condanna per coloro che questi lutti li hanno provocati per realizzare i propri piani di sopraffazione malavitosa. Non siete voi a dover rimanere chiusi nel vostro dolore, devono essere loro a nascondersi e vergognarsi. Il vostro lutto, il vostro dolore, la vostra sofferenza devono essere richiamo alla responsabilità per quanti amministrano a diversi livelli la cosa pubblica. Incontrandovi, devono sentire forte il bisogno di prendere con chiarezza le distanze dal malaffare, devono avvertire forte lo schifo del compromesso e della vicinanza di chi vi ha privato di un affetto. Il vostro lutto, il vostro dolore e la vostra sofferenza hanno tanto da dire anche a me, uomo di Chiesa. A me prima di tutto, ma a tutta la Chiesa viene chiesto sempre più di porre in maniera chiara gesti credibili e di dire parole forti. Solo così la Chiesa mostra quanto sia lontana mille miglia da chi con arroganza e prepotenza vuole imporre logiche di sopraffazione e di malavita e quanto essa sia lontana da chi cerca di strumentalizzare la Chiesa e le realtà sacre per coprire le proprie malefatte. Chi non sente parlare e non resta stupito dagli insopportabili accostamenti tra sacro e malavita? I volti, la sofferenza e le storie dei familiari delle vittime hanno bisogno di incontrare uomini e donne (anche di Chiesa) disposti a metterci la faccia, più di quanti già non ce ne siano. A tutti i livelli. Spero si smetta una buona volta di pensare che un prete, un vescovo o un laico che si impegnano per contrastare la ‘ndrangheta o la malavita in genere lo fanno perché è una “loro” iniziativa privata o lo fanno per una “loro” esclusiva sensibilità. No! Personalmente sento forte il bisogno di dire “grazie” a chi non ha mai smesso di pensare che impegnarsi per questo è fare Vangelo, è affare di Chiesa. Si, è affare di Chiesa perché – lo sottolineo – questi uomini e queste donne lo fanno perché credono al Vangelo; e, con il loro impegno, vogliono portare insieme il peso insopportabile provocato dalla arroganza di uomini e donne che, proprio in Calabria, a Cassano, Papa Francesco ha scomunicato e invitato alla conversione”.

«Ma che vita è la vostra?!», ha detto don Ciotti, rivolgendosi ai malavitosi. «Tanti familiari hanno perso i loro cari e non hanno avuto nemmeno la possibilità di avere il loro corpo, di piangere sulla loro tomba. Uomini e donne della ‘ndrangheta, delle mafie: Diteci almeno dove li avete sepolti! Vi chiedo – e vi auguro – di avere questo scrupolo, questo sussulto di coscienza. Può essere l’inizio di qualcosa di diverso, di un percorso di vita e non più di morte».

Tante domande hanno provocato in me le parole ascoltate e gli occhi incrociati a Locri, a partire dalle parole e dagli occhi di don Franco, il Vescovo di Locri . Domande per le quali trovo una sola risposta. La stessa che ho imparato a mutuare da D. Bonhoeffer, pastore luterano fatto impiccare da Hitler. Di fronte a un pazzo che, guidando una macchina, semina morte, il compito del pastore – diceva Bonhoeffer – non è quello di seppellire i morti ma è piuttosto quello di saltare sulla macchina e strappare il volante al guidatore. Di fronte a chi guida la macchina della violenza, della sopraffazione e della morte, veniamo chiamati a fare tutto quello che è necessario per strappare il volante della violenza dalle mani della malavita. Senza risparmiarci! Fino a provocare reazione. Come quella che si è espressa attraverso le scritte “vigliacche” apparse sui muri di Locri, tendenti a delegittimare chi si spende per riportare la legalità. Grande e pronta la risposta delle istituzioni e dei singoli, segno di una consapevolezza che cresce. Al raduno di Locri un contributo lo hanno dato anche i writer-manovali della ‘ndrangheta. Sì, anche loro! Apostrofando “don Ciotti sbirro” e invocando “più lavoro e meno sbirri”, hanno involontariamente provocato una reazione corale e capace, non solo di dare solidarietà allo “sbirro” ma addirittura di riconoscergli un ruolo positivo e straordinario di presenza e di vicinanza in territori tenuti in scacco dalla malavita. Straordinarie e cariche di tanta voglia di non arrendersi mi sono parse le risposte scritte e gridate a Locri in occasione della marcia per la giornata della memoria e dell’impegno: “Orgogliosamente sbirri per il cambiamento”; “Oggi a Locri siamo tutti sbirri”; “Orgogliosa di aver sposato uno sbirro”. Vi pare poco tutto questo? A me sembra che nei giorni scorsi a Locri – non certo grazie all’arroganza della ‘ndrangheta, ma per merito di quanti si sono riconosciuti in quel “Siamo tutti orgogliosamente sbirri” – la Calabria” può andare orgogliosa del suo nome che deriverebbe da “Kalon-brion“, ovvero “Faccio sorgere il bene”.