Dopo trent’anni, il ricordo di Luigi Aiavolasit

Garantire il diritto alla memoria a tutte le vittime innocenti delle mafie. E’ dal 1995 che Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie si impegna per restituire dignità a tutti coloro che la violenza delle mafie ha provato a cancellare, a spazzare via. E il nostro impegno nel farlo è quello di essere vicini ai familiari nella loro ricerca di verità e giustizia. Le storie, i volti, le persone che abbiamo incrociato in questi oltre venti anni, continuano a raccontarci un pezzo importante della vita del nostro Paese, come la storia di Luigi Aiavolasit. E’ la storia di un ragazzo, una storia arrivata a noi attraverso le fotografie del nipote, Francesco Francaviglia. Un fotografo che si è impegnato nella sua vita professionale raccontando la sua Sicilia, la Sicilia di suo zio Luigi, la Sicilia delle donne del digiuno.

Oggi vogliamo ricordarlo con le parole del nipote, Francesco.

Per anni mi sono chiesto perché avessero ucciso mio zio, quel ragazzo pieno di vita. Tante volte avevo provato a chiedere a mia madre di suo fratello, non c’ero mai riuscito.

Un giorno, ho deciso di tornare a San Giuseppe Jato. Così, ho iniziato un viaggio nel cuore della Sicilia che non si è mai rassegnata. E per la prima volta, dopo tanti anni, ho incontrato, tra tante, anche la storia di mio zio Luigi.

Luigi Aiavolasit, aveva 22 anni quando un commando di killer lo uccise perché ingiustamente sospettato di aver danneggiato una proprietà dei boss di San Giuseppe Jato.

Oggi si compiono trent’anni da quel terribile omicidio e credo che gli anniversari siano utili più a scandire l’elaborazione del lutto di chi è rimasto. Il ricordo e la memoria sono storia di tutti i giorni.

Io temo che ad una sorella, a una madre, non basti e non sia bastata una vita intera per elaborare il lutto di un giovane riccioluto di 22 anni.


Chi era Luigi Aiavolasit

Luigi Aiavolasit era stato ucciso in un bar, mentre era con la sua ragazza, da Di Maggio, Di Matteo e La Barbera il 10 settembre 1986. Punito dai Corleonesi perché era un tossicodipendente che commetteva qualche piccolo furto per pagarsi la droga e rovinava con la sua presenza la piazza di San Giuseppe Jato. Molti collaboratori hanno confermato questa tesi durante il processo. In quegli anni, infatti, i mafiosi capeggiati da Riina hanno ucciso tanti giovani solo perché erano drogati, uccisi senza “senso”. E’ attraverso la storia di Luigi che ricostruiamo quel periodo, che leggiamo quel territorio e quel disagio che ha portato le mafie ad arricchirsi attraverso il traffico dell’eroina, ad approfittare della fragilità di tanti ragazzi e tante ragazze che nell’eroina hanno cercato una via di uscita.