Ad alta voce – in ricordo di Nicolò Azoti

MERCOLEDI’ 21 DICEMBRE 70° anniversario dell’assassinio di Nicolò Azoti alle ore 9,30 con la Cgil di Palermo, Libera, Centro Studi Pio La Torre, Arci, partecipiamo alla celebrazione che si svolgerà al Giardino Nicolò Azoti in via Girolamo Savonarola in Palermo. Nel pomeriggio alle 16,30 nella bottega di Libera dei Saperi e dei Sapori della legalità di Palermo in piazza Castelnuovo, annullo postale  e presentazione della nuova edizione del libro di Antonina Azoti “Ad alta voce”.

Antonina con questo libro, recupera suo padre da quella terra dell’oblio nella quale era stato relegato e lo precisa con lucida chiarezza  quando afferma: “… col passare del tempo mi rendevo conto che tale memoria non poteva e non doveva restare un fatto privato e personale. L’uccisione di mio padre non era stato una caso di regolamento di conti, ma andava inscritta in un progetto criminale molto più ampio: azzerare i cambiamenti e distruggere, sul nascere, quei principi di giustizia e democrazia che avrebbero dato dignità ai lavoratori”.


Chi era Nicolò Azoti

foto_nicoloazotiNacque a Ciminna (PA) il 13 settembre 1909, da Melchiorre e da Orsola Lo Dolce. Ad otto anni, però, si trasferì con tutta la famiglia nella vicina Baucina, dove mise radici. Nel 1939 sposò Domenica “Mimì” Mauro, da cui ebbe due figli. Nei difficili anni del dopoguerra, la sua attenzione fu attratta dalle misere condizioni dei contadini, che cominciò ad organizzare nella Cgil, battendosi per la riforma agraria. Divenne, quindi, segretario della Camera del lavoro, fondò l’ufficio di collocamento e progettò la costituzione di una cooperativa agricola. Il tentativo di far applicare la nuova legge sulla divisione dei prodotti agricoli a 60 e 40 (60% al contadino, 40% al padrone) provocò lo scontro con gli agrari e i gabelloti mafiosi. Dopo aver subito pesanti minacce, la sera del 21 dicembre 1946, fu colpito da 5 colpi di pistola sparategli alle spalle. Prima di morire, il 23 dicembre, fece i nomi dei suoi assassini sia alla moglie, che ai carabinieri che lo interrogarono, ma la giustizia del tempo non riuscì nemmeno a celebrare un normale processo. L’inchiesta per la sua morte fu archiviata in istruttoria, dopo che il gabelloto, indicato come mandante dell’omicidio, ebbe tutto il tempo di costruirsi un falso alibi.