Minuti che durarono più di un’intera vita

Sono passati nove anni da quella maledetta sera.

Una sera che ha segnato, segna, e segnerà per sempre uno spartiacque indelebile della mia vita. La sera in cui il nostro Peppe venne strappato alla sua famiglia in modo violento, assurdo, disumano.
Era la sera del 31 dicembre 2007. Ore 23 e 15, eravamo nella nostra casa a Torre Annunziata e attendevamo l’arrivo del nuovo anno.

Di quegli ultimi momenti prima del terribile spartiacque, che ha spaccato in due la mia vita, ricordo la spensieratezza, la baldoria, quei momenti felici. Un’atmosfera in cui sembrava che niente e nessuno potesse sfiorarci.
Quell’atmosfera di festa viene spezzata da un colpo secco.
Lì per lì nessuno capì cosa fosse accaduto. Nessuno può immaginare che accada una cosa simile.
Nessuno può immaginare di essere colpito da un colpo di arma da fuoco 9×21 nella propria casa, mentre si sta insieme ai propri cari.

Lo sgomento, l’incapacità di capire, lasciarono il posto a panico, paura, urla, terrore.
All’immagine, indelebile per me, e per tutti quelli che erano lì, del corpo di un uomo di trent’anni, un onesto lavoratore, un uomo da poco diventato padre, colpito e riverso dentro un mare di sangue, privo di coscienza.
Furono minuti interminabili. Minuti che durarono più di un’intera vita.
Non servirono i pianti, le urla.
Non servirono le nostre preghiere, le nostre inutili suppliche.
Alle 23 e 30 Peppe morì.
Vita spaccata in due: c’è un prima, c’è un dopo.

Nel prima tutto ciò che eravamo era indissolubilmente legato alla vita della persona che ci hanno strappato. Nel dopo, tutto della nostra vita è invece legato alla sua morte: tutto, il nostro impegno, le nostre difficoltà, che siano emotive o materiali, l’amore che continuiamo a dare a chi ci è rimasto accanto, anche per supplire all’amore scomparso di chi non c’è più.
E se siamo legati per sempre alla morte di chi amavamo, siamo per sempre legati alla causa della sua morte, alla colpa di chi ha ucciso.
Siamo legati per sempre all’impegno per fare in modo che queste cose non accadano mai più. Per fare tutto il possibile affinché non accadano mai più.

Questa è la radice, la ragione più profonda del nostro impegno.
Da quel momento inizia come un precipizio.

Ti blocchi.

Non riesci a capire, a capire davvero. Capisci solo la superficie di ciò che è successo, ma è come se non riuscissi a scendere in profondità.
Io ero legata a Peppe. La mia vita era legata a Peppe, avevo conosciuto il mondo, la realtà insieme a lui. Non potevo immaginare un mondo in cui lui non ci fosse.
Mi sembrava di non aver avuto tempo. E forse era proprio così.
Non avevo avuto tempo per lui, per noi, per nostra figlia, per la nostra vita comune, insieme.
E non avevo avuto tempo di maturare. Non avevo avuto tempo.
Mi sentivo smarrita. Mi sentivo come precipitata in un brutto sogno.
Quella sera ho scoperto che la camorra è nella vita di ognuno di noi.

Nessuno di noi può pensare, mai, di essere al riparo. Mai. Nessuno. È entrata di prepotenza nella mia vita bucando il vetro di una finestra e strappandomi il mio amato Peppe.
Chi ha armato quella pistola non ha ancora un volto e un nome.

Ludovica somiglia tanto al padre e a volte sembra di riviverlo. Lei è la mia forza e insieme continueremo a portare la memoria di Peppe affinché resti vivo in ogni persona che gli ha voluto bene.

Carmela Sermino
moglie di Giuseppe


Chi era Giuseppe Veropalumbo

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Giuseppe Veropalumbo era un carrozziere di 30 anni, sposato e padre di una bambina. Durante i festeggiamenti per il Capodanno, il 31 dicembre del 2007, Giuseppe venne colpito in casa da un proiettile vagante, sparato per ”festeggiare” l’arrivo del nuovo anno. Il colpo centrò il giovane al cuore. Quella sera il giovane carrozziere era con la sua famiglia nell’abitazione di via Vittorio Emanuele a Napoli. Il proiettile venne esploso intorno alle 23.15 da ignoti. Ricoverato all’ospedale di Boscotrecase, Giuseppe morirà poco dopo.